Il contenzioso nel franchising: da dove nasce, come prevenirlo, come risolverlo efficacemente
Le reti in franchising sono spesso caratterizzate da una elevata conflittualità al loro interno, che può sfociare in un vero e proprio contenzioso. Le cause del contenzioso nel franchising sono da una parte comuni a tutti i contratti commerciali (inadempienze contrattuali), ma dall’altra specifiche del franchising, in quanto ricollegabili a caratteristiche strutturali di tale rapporto. Ogni rete in franchising dovrebbe prevenire il più possibile l’insorgere di situazioni di conflitto e a gestire efficacemente il conflitto insorto, con l’opportuna assistenza di un legale esperto in franchising. Questo obiettivo è possibile, con una serie di opportuni accorgimenti e strategie che devono essere adottati da ogni franchisor, seppure differenziati a seconda del settore in cui la rete è attiva. In questo articolo verranno analizzate le cause più tipiche e ricorrenti di conflittualità nel franchising, e verranno fornite alcune indicazioni ai franchisors per prevenire il contenzioso e risolverlo efficacemente.
1. Esiste il contenzioso nel franchising?
La domanda può sembrare provocatoria, ma in realtà non lo è. In effetti, scorrendo le varie rassegne che vengono pubblicate ogni anno, attraverso vari canali (articoli cartacei, data base, blog, etc.), sembra che di contenzioso in tema di franchising non vi sia quasi traccia; le sentenze pubblicate sul franchising sono pochissime, soprattutto in proporzione dell’ampio numero di contratti di franchising in essere in Italia. E’ curioso come vengano pubblicate in un anno più sentenze in materia di usucapione che in materia di franchising!
Questo potrebbe portare a ritenere, superficialmente ed erroneamente, che il contenzioso nel franchising sia molto ridotto o addirittura inesistente. Chi conosce la realtà del franchising – come chi scrive – sa bene invece che, a dispetto di quanto possa apparire all’esterno, le reti in franchising sono spesso caratterizzate da una elevata conflittualità al loro interno, che sfocia spesso in un vero e proprio contenzioso, come vedremo meglio in questo articolo.
E allora: perché i contenziosi nel franchising non emergono?
I motivi di questa scarsa emersione all’esterno del contenzioso in materia di franchising sono a mio avviso principalmente due:
- perché spesso i contenziosi vengono risolti in via bonaria, cioè con una transazione, prima o dopo l’inizio della causa; e tale transazione non viene ovviamente divulgata all’esterno, spesso anche per effetto di precise pattuizioni tra le parti in tal senso;
- perché spesso sono previste nei contratti di franchising delle clausole compromissorie, che devolvono ad arbitri le controversie derivanti dal contratto; in tal caso, il lodo arbitrale (a differenza di quanto accade per la sentenza di un Giudice ordinario) non viene pubblicato (salvo che entrambe le parti lo consentano: il che accade molto raramente).
2. Da dove proviene il contenzioso nel franchising?
Sulla base della mia esperienza – accumulata (ahimé) in molti anni di consulenza “sul campo” – il contenzioso nell’ambito del franchising può essere sinteticamente suddiviso in due principali “filoni”.
Un primo filone di contenzioso – che potremmo chiamare “ordinario” – si ricollega a cause che si ritrovano anche in quasi tutti gli altri contratti d’impresa – categoria al quale anche il franchising appartiene – in quanto essenzialmente connesso ad inadempienze contrattuali, commesse dall’una o dall’altra parte (cioè dal franchisor o dal franchisee).
Sotto questo profilo, il franchising non si discosta molto dagli altri contratti commerciali, che presentano tutti, in misura diversa, un tasso di contenzioso “fisiologico”, derivante appunto dal fatto che gli obblighi contrattualmente previsti possono non essere adempiuti, in tutto o in parte, dando luogo, così, al sorgere di controversie.
Peraltro, anche questo filone “ordinario” di contenzioso presenta, al suo interno, delle peculiarità che si collegano agli obblighi specifici previsti nei contratti di franchising (e che non si ritrovano in altri contratti), come vedremo in seguito.
Ma vi è un altro filone, più interessante dal punto di vista di chi vi scrive, di contenzioso nel franchising, che si differenzia notevolmente da quello che troviamo in altri contratti commerciali, in quanto connesso alle peculiari caratteristiche del franchising.
In un certo senso, possiamo dire che nel franchising vi è una conflittualità “fisiologica”, o meglio strutturale, tra franchisor e franchisee, derivante da due principali cause.
In primo luogo, con la firma del contratto di franchising si crea un vincolo molto stretto tra affiliante e affiliato, che condiziona notevolmente l’attività di quest’ultimo; in effetti, il franchisee, pur essendo giuridicamente un imprenditore autonomo, non è libero di assumere decisioni come lo è normalmente un imprenditore commerciale, in quanto il franchisor esercita un controllo molto penetrante sulla sua attività, limitandone fortemente la sua libertà di azione attraverso una serie di clausole contrattuali, quasi sempre inserite nei moduli contrattuali adottati dai franchisor.
Mi riferisco, tanto per fare degli esempi, alle clausole che impongono all’affiliato di:
- adottare un determinato arredamento dei locali del punto vendita;
- acquistare determinati prodotti o servizi esclusivamente dal franchisor;
- utilizzare un particolare software gestionale fornito dal franchisor o da suoi fornitori;
- effettuare una determinata pubblicità e/o sostenere determinati investimenti pubblicitari;
- consentire controlli e ispezioni periodiche circa la sua attività;
- praticare determinati prezzi di vendita al pubblico;
- acquistare un determinato minimo di prodotti dal franchisor o dai suoi fornitori;
- concedere la prelazione e/o acquisire il gradimento del franchisor in caso di cessione dell’attività,
etc.
Tali clausole sono, in linea generale, fisiologiche nel franchising (e dunque perfettamente legittime sotto il profilo giuridico), in quanto funzionali a permettere al franchisor di preservare tre valori assolutamente fondamentali nel franchising: l’uniformità della rete, l’immagine commerciale della rete e il know how.
Al contempo, tuttavia, le medesime clausole, in quanto fortemente restrittive della autonomia imprenditoriale del franchisee (e quindi della concorrenza) possono essere fonte di contenzioso, che – dopo essere magari essere rimasto sotto la cenere per anni – emerge inevitabilmente non appena l’attività dell’affiliato non procede bene (ad esempio perché l’affiliato non consegue la redditività che aveva pensato di raggiungere o che gli era stata prospettata). Vedremo, peraltro, in seguito se e come è possibile per il franchisor cercare di evitare il contenzioso derivante da tali clausole.
In secondo luogo, le esigenze e egli interessi delle parti (franchisor e franchisee), se all’inizio e durante la durata del contratto in buona parte coincidono, tendono spesso drammaticamente a divergere al momento e dopo lo scioglimento del contratto; non a caso, buona parte del contenzioso che si registra nelle reti si riferisce appunto alla fase della c.d. termination del contratto.
Pensiamo a due soli esempi (sui quali ci soffermeremo in seguito), forieri molto spesso di contenzioso:
- una delle parti (affiliante o affiliato) intende recedere anticipatamente dal contratto (questo problema si pone in particolare quando è l’affiliato a voler recedere dal contratto senza che ciò sia previsto nel contratto stesso, come si vedrà);
- una volta cessato il contratto, l’affiliato intende continuare a svolgere un’attività identica o simile a quella che svolgeva nella rete in franchising, ma ciò chi è precluso da un patto di non concorrenza post-contrattuale.
In questi esempi (ma altri se ne possono fare, come vedremo), franchisor e franchisee, che avevano convissuto senza problemi nel vigore del contratto, si trovano improvvisamente ad avere interessi diametralmente opposti, con conseguente (ma evitabile, come vedremo) sorgere del contenzioso.
3. Perché è meglio evitare contenziosi in una rete in franchising?
Questa domanda potrebbe apparire fin troppo ovvia, ma è sempre opportuno evidenziare i motivi – e ve ne sono molti – per i quali è consigliabile per una rete in franchising evitare, in linea generale, il contenzioso con gli affiliati, limitandolo al minimo indispensabile.
Ecco una lista dei principali motivi:
- la (insostenibile) durata dei procedimenti giudiziari in Italia: un processo in primo grado (tralasciando i gradi di appello) davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria dura attualmente in media 3-4 anni; decisamente troppi, dato che in questo periodo permane una situazione di incertezza (nessun contenzioso è infatti mai di esito certo), che impedisce al franchisor di pianificare le proprie scelte. Vi sono invece tempi decisamente inferiori per l’arbitrato (una delle ragioni per cui è infatti consigliabile, come si vedrà in seguito).
- la generale scarsa conoscenza del franchising da parte di molti giudici: pur non essendo ovviamente possibile (né giusto) generalizzare, molti giudici non conoscono sufficientemente il franchising nei suoi risvolti tecnici ed operativi, e rischiano quindi di assumere decisioni basate su una erronea o insufficiente comprensione del fenomeno (questo rischio è presente molto meno quanto a decidere è un arbitro; il che rappresenta un ulteriore motivo per il quale tale metodo di risoluzione delle controversie è preferibile, come si vedrà).
- l’interesse del franchisor che l’affiliato continui a far parte della rete in franchising; un contenzioso implica infatti, nel 99% dei casi, la cessazione del rapporto con l’affiliato, il che non sempre è un buon risultato per una rete in franchising.
- i possibili danni all’immagine della rete in franchising: se un contenzioso termina in modo negativo per il franchisor, la rete in franchising può subire gravi danni di immagine, data la notorietà che al provvedimento negativo può essere data sui media e sui social network; ciò può cerare grossi problemi per la notorietà di un marchio e finanche distruggere una intera rete.
- il possibile disincentivo per future affiliazioni: il franchisor ha infatti l’obbligo, ai sensi della L. n. 129/2004, di informare il potenziale affiliato circa il contenzioso nella rete (anche se solo riferito alle sentenze definitive), per cui un provvedimento negativo può costituire una grossa remora ad affiliarsi da parte dei potenziali interessati.
- i costi legali da sostenere senza adeguata garanzia di risultato: qualsiasi contenzioso ha, inizialmente, un solo risultato certo dal punto di vista economico, quello delle spese legali che devono essere sostenute per coltivarlo; spese che talvolta, ed anzi spesso, non sono giustificate in un rapporto costi-benefici.
Questo non significa, si badi bene, che un contenzioso per una rete in franchising non sia mai giustificato: vi sono infatti dei casi in cui il contenzioso è necessario e indispensabile, come ad esempio quando si tratta di tutelare il marchio o il know-how (e non solo).
Ma in linea generale, ogni rete in franchising dovrebbe prevenire il più possibile l’insorgere di situazioni di conflitto e a gestire efficacemente il conflitto insorto, con l’opportuna assistenza di un legale esperto in franchising.
Come vedremo, questo obiettivo è possibile, con una serie di opportuni accorgimenti e strategie che dovrebbero essere adottai da ogni franchisor, seppure differenziati a seconda del settore in cui la rete è attiva.
In questo articolo analizzerò le cause più tipiche e ricorrenti di conflittualità nel franchising, e fornirò una serie di indicazioni ai franchisors per prevenire il contenzioso e risolverlo efficacemente.
4. L’inadempimento di obblighi contrattuali: a) da parte del franchisee
Iniziando la rassegna delle principali cause di contenzioso nel franchising, analizziamo anzitutto quelle derivanti dall’inadempimento degli obblighi previsti dal contratto di franchising.
Per quanto concerne l’affiliato, l’inadempimento più ricorrente è quello consistente nel mancato pagamento delle royalties (o dei prezzi di acquisto dei prodotti). In effetti, il recupero crediti nei confronti degli affiliati costituisce un motivo sempre crescente di contenzioso nel franchising, soprattutto a seguito dell’attuale crisi economica causata dalla pandemia Covid-19.
Il mancato pagamento del corrispettivo da parte dell’affiliato è in generale legato al verificarsi di due situazioni:
- in sede di avvio dell’attività in franchising (start up), dagli investimenti sostenuti inizialmente dall’affiliato e dagli scarsi introiti inizialmente derivanti dall’attività;
- nel corso del rapporto, da situazioni di tensione finanziaria, legate alle sfavorevoli condizioni di mercato o di eventi inattesi (come recentemente la pandemia Covid-19).
Tenuto conto di ciò, la prima indicazione per cercare di prevenire tale tipo di situazioni consiste nell’attuare una strategia aziendale volta a far sì che gli affiliati possano svolgere la propria attività in modo redditizio, e quindi:
- in fase iniziale del rapporto di franchising, specialmente quando l’affiliato ha scarsa esperienza o le condizioni di mercato non sono vantaggiose, il franchisor dovrebbe prevedere royalties e/o margini di prezzo ridotti, anche in rapporto a quanto già versato dall’affiliato a titolo di entry fee e/o agli investimenti sostenuti, in modo da incoraggiare l’affiliato ed evitare il sorgere di situazioni di conflittualità.
- a regime, il franchisor dovrebbe prevedere royalties e/o margini di prezzo realistici, alla luce delle effettive condizioni di mercato, in modo da permettere un margine di guadagno effettivo e sufficiente per l’affiliato.
Il secondo suggerimento è quello di monitorare attentamente e costantemente la situazione finanziaria dei franchisee. In tal senso, è opportuno:
- qualora siano previste royalties variabili (in funzione del fatturato), prevedere nel contratto di franchising la possibilità di del franchisor di effettuare audit, regolamentando altresì le conseguenze in caso di scostamento tra dati accertati e comunicati dall’affiliato (ad esempio, prevedendo che in caso di scostamenti inferiori al 5% il costo dell’audit è a carico dell’affiliato, e prevedendo in caso di scostamenti superiori a tale soglia una clausola penale, fino alla risoluzione del contratto).
- in ogni caso, valutare tempestivamente e analiticamente l’effettiva situazione finanziaria dell’affiliato e le reali ragioni della mancata redditività dell’affiliato.
- adottare una serie di iniziative per migliorare la redditività dell’affiliato (ad esempio: migliorare la politica promozionale/pubblicitaria; rivedere i costi dei prodotti/servizi agli affiliati e al mercato; suggerire risparmi di costi all’affiliato es. sul personale; ideare nuovi prodotti/servizi etc.).
Naturalmente possono esservi molti altri inadempimenti contrattuali del franchisee; di essi ci occuperemo analizzando di volta in volta le specifiche cause di contenzioso peculiari del franchising.
5. L’inadempimento di obblighi contrattuali: b) da parte del franchisor
Vediamo ora gli inadempimenti contrattuali imputabili al franchisor. Statisticamente, le inadempienze contrattuali più frequentemente commesse dal franchisor consistono in:
- mancata/inesatta erogazione all’affiliato di servizi contrattualmente previsti (ad esempio. assistenza start up, marketing, etc.);
- mancata/inesatta fornitura di merce all’affiliato (ad esempio, prodotti consegnati in ritardo o non conformi a quelli ordinati dall’affiliato);
- mancata/inadeguata erogazione della formazione all’affiliato (iniziale o continuativa);
- violazione dell’esclusiva di territorio assegnata all’affiliato.
In questi casi, nonostante che nei contratti di franchising generalmente non sia prevista la risoluzione immediata e automatica del contratto (clausola risolutiva espressa, ai sensi dell’art. 1456 c.c.) in caso di inadempimenti del franchisor (a differenza di quanto è invece previsto per le inadempienze contrattuali del franchisee), qualora le inadempienze dl franchisor siano gravi (come ad esempio nel caso di violazione dell’esclusiva), il franchisee può comunque chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento imputabile al franchisor (art. 1455 c.c.), oltre al risarcimento dei danni subìti.
Dunque, per evitare di incorrere in contenziosi ricollegabili a inadempienze del franchisor, Il primo suggerimento è quindi di inserire nel contratto servizi da parte del franchisor al franchisee solo qualora il primo si sia effettivamente in grado (ovvero possieda l’organizzazione, capacità, competenza etc.) di prestarli, per evitare di trovarsi di fronte a possibili contestazioni circa la mancata o inesatta erogazione.
Il secondo suggerimento è quello di limitare il più possibile le prestazioni contrattuali in favore degli affiliati, e comunque di descrivere con precisione tale prestazioni. Troppo spesso mi imbatto in clausole contrattuali in cui il franchisor eroga genericamente (e “generosamente”) in favore dell’affiliato “assistenza finanziaria, marketing, gestionale etc. in fase di start up”; tali clausole possono rivelarsi clamorosi boomerang per il franchisor in caso di contestazione da parte del franchisee. Non dimentichiamo che il contratto di franchising non è uno strumento pubblicitario!
Infine, è opportuno (anzi necessario) documentare il più possibile tutto ciò che si riferisce all’adempimento degli obblighi contrattuali in capo al franchisor e conservare attentamente tale documentazione (pensiamo ad esempio alla documentazione attinente l’erogazione della formazione, la prestazione di servizi di assistenza in fase di start up. E così via). Infatti, in caso di contenzioso, qualora il franchisee contesti l’inadempimento del franchisor, sotto il profilo è quest’ultimo che deve dimostrare l’avvenuto adempimento; qualora non riesca a fornire tale prova, verrà considerato inadempiente, con tutte le conseguenze del caso.
Infine, come è ovvio, qualora nel contratto siano previste prestazioni a carico del franchisor, quest’ultimo deve effettivamente e puntualmente effettuarle in favore del franchisee. Ciò non soltanto perché si tratta di un obbligo contrattuale, ma anche perché denota la correttezza e la serietà del franchisor (re quindi della rete). Non dimentichiamo che il franchising si caratterizza rispetto ad altri contratti commerciali (come ad esempio i contratti di concessione di vendita o di licensing) anche sotto il profilo dei servizi (in particolare di formazione e assistenza) che il franchisor eroga in favore degli affiliati, e che giustificano il pagamento da parte di questi di entry fee e royalties.
6. Inottemperanza agli obblighi precontrattuali ai sensi della L. n. 129/2004
Come è noto, la L. n. 129/2004 prevede alcuni precisi obblighi informativi in favore degli aspiranti affiliati, che devono essere adempiuti dal franchisor prima che venga sottoscritto un contratto di franchising (o altro documento giuridicamente vincolante, come un contratto preliminare o un contratto di opzione).
La legge tutela infatti gli aspiranti affiliati – ritenuti contraenti deboli rispetto al franchisor – concedendo loro uno periodo di almeno 30 giorni prima di sottoscrivere il contratto, in modo da valutare attentamente l’affiliazione commerciale proposta, magari con l’ausilio di propri consulenti (il che accade ahimè raramente).
In sintesi, in base all’art. 4 della L. n. 129/2004, il franchisor ha l’obbligo di fornire all’aspirante affiliato, almeno 30 gg. prima della sottoscrizione del contratto:
- la copia completa del contratto di franchising (con tutti gli elementi previsti dalla L. 129/2004, tra cui l’indicazione degli investimenti;
- una serie di informazioni dettagliate circa l’oggetto della formula commerciale, il numero degli affiliati nella rete e la loro variazione, i procedimenti giudiziari etc.;
- ogni ulteriore dato o informazione che l’aspirante affiliato ritenga necessaria e utile.
Il franchisor può evitare di fornire tali informazioni solo qualora sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza, che devono essere indicate nel contratto (ad esempio con riferimento al know-how).
E’ sorprendente constatare come, a distanza di ormai molti anni dall’entrata in vigore della L. n. 129/2004, ancora molti franchisor non ottemperano, o ottemperano in modo non conforme a quanto previsto dalla normativa, agli obblighi informativi pre-contrattuali previsti in favore degli aspiranti affiliati dagli artt. 3 e 4 della L. n. 129/2004.
Eppure si tratta di obblighi relativamente semplici – che non dovrebbero presentare problemi particolari per un franchisor, se assistito da un valido consulente legale – la cui violazione espone i franchisor a conseguenze legali assai gravi, essendo prevista addirittura la nullità del contratto di franchising.
L’inottemperanza a tali obblighi generalmente non è fonte di contenzioso di per sé (dato che difficilmente l’affiliato ha interesse a contestare tale inadempienza se il rapporto procede bene e senza problemi), ma lo può diventare successivamente in quanto l’affiliato, dopo aver sottoscritto il contratto, può invocare tali inadempienze per difendersi dal franchisor (magari in sede di recupero crediti) o per supportare le proprie pretese al risarcimento danni, per altre ragioni (magari per la mancata redditività dell’attività).
Quindi, è di fondamentale importanza attenersi scrupolosamente a quanto previsto dalla L. 129/2004, avvalendosi della consulenza di un legale esperto in franchising, e conseguentemente:
- fornire all’aspirante franchisee informazioni aggiornate, complete e veritiere;
- fornire all’aspirante franchisee 30 gg. prima della firma la copia completa del contratto di franchising, e in caso di modifiche rilevanti, attendere 30 gg. prima della firma;
- limitare il diniego di informazioni a motivi veri e seri di riservatezza, indicandoli nel contratto.
Inoltre, nell’ottica di prevenire eventuali future contestazioni da parte dell’affiliato, è opportuno:
- prestare attenzione alle richieste di informazioni del franchisee e documentare le relative risposte;
- documentare le ragioni di riservatezza per cui si è eventualmente evitato di fornire informazioni all’aspirante franchisee
- una volta concluse le trattative – e comunque almeno 30 gg. prima della firma del contratto di franchising – far sottoscrivere all’aspirante affiliato un apposito documento nel quale si dà atto che lo stesso ha ricevuto il contratto e i documenti informativi previsti dalla L. n. 129/2004.
E’ opportuno infine sottolineare che le informazioni previste dalla legge sul franchising devono essere effettivamente fornite all’aspirante affiliato prima della conclusione del contratto di franchising; il fatto che nel contratto sia espressamente indicato che tali informazioni sono state consegnate non vale a sanare una eventuale lacuna in tal senso.
D’altra parte, la compliance a quanto previsto dalla L. n. 12/2004 (che in realtà non prevede molti obblighi in capo ai franchisor) è, al di là di un obbligo di legge, una prova di serietà e correttezza per ogni impresa franchisor: una sorta di biglietto da visita per una rete in franchising.
7. Il Know-How
Come (dovrebbe essere) ben noto, il know how è un elemento fondamentale in un contratto di franchising; la L. n. 129/2004 prevede precisi requisiti in proposito, prescrivendo che esso debba essere:
- segreto, cioè “non generalmente noto né facilmente accessibile”;
- sostanziale, cioè deve comprendere le “conoscenze indispensabili all’affiliato” per svolgere l’attività;
- individuabile, cioè “descritto in modo sufficientemente esauriente”.
In sintesi, il know how deve consentire agli affiliati in franchising di caratterizzarsi sul mercato e differenziarsi rispetto alla concorrenza; perciò deve essere in grado di far acquisire ai franchisee un sostanziale e stabile vantaggio competitivo.
Se così non è – cioè se una rete in franchising risulta carente di un valido know-how – sorge un grave problema, fonte di gravi rischi di contenzioso per l’intera rete in franchising: ciò in quanto la mancanza o carenza di tale elemento fondamentale è suscettibile di provocare la nullità del contratto di franchising (e quindi di tutti i contratti di franchising, ovvero il collasso dell’intera rete), con conseguente diritto degli affiliati di ottenere il rimborso di quanto versato al franchisor oltre al risarcimento del danno.
Inoltre, in tal caso il franchisor può andare incontro a sanzioni irrogate dall’AGCM per pubblicità ingannevole, ai sensi D.lgs. n. 145/2007.
Anche in questo caso, la mancanza del know-how difficilmente è fonte di contenzioso di per sé, in quanto difficilmente l’affiliato ha interesse a contestare al franchisor tale aspetto se il rapporto procede senza problemi), ma lo può diventare successivamente, quando l’affiliato può invocare tale grave lacuna della rete per supportare le proprie pretese nei confronti del franchisor.
Come è intuibile, la carenza di know-how non è un aspetto facilmente rimediabile “in corso d’opera”, cioè dopo che la rete in franchising si è sviluppata e i contratti con gli affiliati sono già stati sottoscritti. Ciò presupporrebbe infatti la possibilità di introdurre nuovi elementi sostanziali nel franchise concept, e quindi di rivoluzionare in buona misura l’intera rete; e comunque, la successiva introduzione di tali modifiche non potrebbe sanare la nullità iniziale dei contratti.
E’ quindi di fondamentale importanza porre molta attenzione alla valida configurazione del know-how in sede di pianificazione iniziale della rete, cioè in sede di predisposizione dello studio di fattibilità e della successiva fase di sperimentazione. In tale fase non soltanto dovranno essere attentamente valutati i requisiti affinché possa parlarsi di un valido know-how, ma dovranno altresì essere studiati e redatti con molta attenzione anche gli strumenti attraverso i quali il know how viene trasferito (o meglio concesso in licenza) agli affiliati, ovvero la formazione e il manuale operativo.
In sintesi quindi, gli aspetti da considerare (come si è detto, in fase di pianificazione inziale della rete) per evitare rischi legali e quindi contenzioso sono essenzialmente i seguenti:
- accurata valutazione dei presupposti giuridici di validità del know how;
- scrupolosa predisposizione del manuale operativo;
- attenta pianificazione dell’attività di formazione.
8. Il contenzioso da mancata/insufficiente redditività dell’affiliato
Probabilmente il più consistente filone di conflittualità nelle reti in franchising deriva dal fatto che l’affiliato non consegue dalla propria attività la redditività che si attendeva, o che gli era stata prospettata dal franchisor prima di sottoscrivere il contratto.
Molto spesso, questa situazione nasce dal business plan che viene spesso consegnato dal franchisor all’aspirante affiliato – spontaneamente, in quanto non vi è alcun obbligo di legge per il franchisor a fornire tale documento, che non rientra tra gli obblighi informativi previsti dalla L. n. 129/2004 – e che contiene dati o previsioni di fatturato che poi, puntualmente, non si realizzano, per vari motivi.
In linea generale, il franchisee è considerato giuridicamente un imprenditore autonomo, che sopporta per intero i rischi d’impresa, spesso legati a situazioni oggettive di mercato o a capacità soggettive del franchisee stesso. Dunque, la mancanza di redditività dell’attività del franchisee non può, in linea di massima, essere mai imputata al franchisor, e giammai costituire fonte di responsabilità per quest’ultimo.
Tale principio vale anche qualora il franchisor consegni all’aspirante affiliato un business plan; non vi è infatti automaticamente una responsabilità in capo al franchisor nei confronti del franchisee qualora quest’ultimo non consegua effettivamente i profitti che erano stati pervisti nel business plan, dato che il franchisor non assume alcun obbligo di risultato, nei confronti del franchisee.
Ciò premesso, occorre tuttavia evidenziare che la mancata realizzazione delle previsioni di un business plan da parte di un affiliato può comunque porre il franchisor in una situazione di rischio.
Ciò accade quando il business plan consegnato al franchisee contenga dati o informazioni inesatte, incomplete o addirittura false. In questo caso, dato che il franchisee inevitabilmente fa affidamento sul business plan nel corso delle trattative – ed anzi si tratta di un elemento spesso determinante a spingere un soggetto ad affiliarsi ad una determinata rete in franchising – lo stesso può ottenere l’annullamento del contratto di franchising per dolo o errore, con conseguente risarcimento del danno, qualora riesca a dimostrare di essere stato tratto in inganno o in errore.
Vi è poi un altro aspetto, forse ancor più importante, di rischio per il franchisor. Il business plan è infatti uno strumento pubblicitario, e in quanto tale è soggetto alle valutazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Un business plan contenente affermazioni non veritiere, o comunque la cui veridicità non sia non dimostrabile in modo oggettivo, circa i profitti derivanti dall’affiliazione commerciale, potrebbe quindi essere considerato pubblicità ingannevole, e quindi può esporre il franchisor a sanzioni pecuniarie anche elevate, da parte dell’AGCM, oltre che a pubblicità negativa (dato che i provvedimenti dell’AGCM vengono pubblicati sul sito web dell’Autorità e di essi viene data ampia diffusione sui media), con le conseguenti ricadute sull’immagine del brand.
Ed infatti, già in numerosi casi, l’AGCM ha comminato sanzioni a vari franchisors per avere generato con messaggi pubblicitari ingannevoli di vario tipo false aspettative in capo agli aspiranti affiliati circa i risultati economici realizzabili attraverso l’affiliazione, ad esempio prospettando guadagni “certi” quando invece gli stessi erano in realtà altamente incerti, in quanto dipendevano dalle più diverse variabili.
Inoltre, i provvedimenti dell’AGCM che accertino l’ingannevolezza di un business plan potrebbero essere sfruttati dagli affiliati davanti all’Autorità giudiziaria per ottenere l’annullamento del contratto di franchising e il risarcimento del danno, dato che le risultanze dell’Autorità costituiscono un indizio molto rilevante, che non può non influenzare un giudice.
Dunque, è importante per evitare situazioni di contenzioso predisporre un business plan, e più in generale un materiale pubblicitario, corretto, attendibile e veritiero, evitando che esso possa costituire fonte di affidamento per gli affiliati circa i risultati della propria attività e vincendo la naturale tendenza a “magnificare” oltremodo la convenienza ad affiliarsi ad una data rete.
Certo, si tratta pur sempre di pubblicità, e si sa la pubblicità deve essere allettante; ma attirare decine o centinaia di affiliati con una pubblicità “gonfiata” rischia poi di rivelarsi un boomerang quando i risultati promessi e pubblicizzati non arrivano. Molto meglio quindi ancorarsi a dati corretti e veritieri; il che è indice tra l’altro di serietà per qualsiasi rete in franchising.
Inoltre, sempre in un’ottica di prevenire eventuali liti, è opportuno:
- consegnare un business plan solo se si hanno dati certi e dimostrabili; nel dubbio, fornire dati conservativi e prudenziali piuttosto che troppo ottimistici;
- chiarire con appositi warning che si tratta di mere previsioni e non di dati certi e vincolanti (dato che la redditività dell’attività dipende da molte variabili indipendenti dal franchisor, quali zone di mercato, andamento generale del mercato, attività della concorrenza, capacità dell’affiliato etc.);
- inserire dati non astratti o generici ma tarati sulla effettiva situazione concreta del singolo franchisee (mercato, location etc.);
- in caso di scostamento, analizzarne con il franchisee le ragioni con atteggiamento collaborativo e monitorare l’andamento del franchisee nel tempo.
9. Il contenzioso da scioglimento/rinnovo del contratto
Come in tutte le relazioni economiche di lunga durata, anche nel franchising il momento dello scioglimento del contratto è molto delicato e fonte di contenzioso. Infatti, mentre nella fase di esecuzione del contratto di franchising gli interessi delle parti tendono ad essere sostanzialmente coincidenti, nella fase di termination del rapporto essi tendono a divergere nettamente.
Il franchisor ha generalmente l’interesse ad ottenere il massimo risultato in termini economici e ad evitare situazioni di sfruttamento del marchio/know-how da parte dell’ex affiliato; il franchisee ha interesse a limitare i danni economici e a mantenere una certa libertà di azione sul mercato.
In questa fase si possono verificare due situazioni opposte, entrambe fonte di conflittualità. Da una parte, può verificarsi (e si tratta dell’ipotesi statisticamente più frequente) che l’affiliato desideri interrompere anticipatamente il contratto, prima della scadenza naturale, per i più vari motivi (spesso perché non raggiunge i risultati economici che si prefiggeva, o è addirittura in perdita).
Spesso i contratti di franchising si prevede la possibilità per il franchisor di recedere liberamente (ad nutum) dal contratto prima del termine; ciò è lecito, a condizione che:
- venga dato un congruo preavviso all’affiliato, in relazione alla durata del contratto e agli investimenti effettuati;
- decorrano comunque 3 anni o la durata superiore per l’ammortamento dell’investimento dell’affiliato;
- non sia sorto un affidamento del franchisee alla prosecuzione del rapporto.
Generalmente invece il recesso anticipato dell’affiliato non è previsto nei contratti di franchising (e quindi non è lecito), o è previsto a condizioni penalizzanti per l’affiliato (ad esempio con pagamento di pesanti penali, o per motivi molto specifici e ristretti).
La mancata possibilità di recesso anticipato dell’affiliato si giustifica per l’esigenza di proteggere il know-how del franchisor; tuttavia, si introduce in tal modo un elemento di rigidità nel rapporto che può condurre a conflittualità ed essere fonte di contenzioso, dato che l’affiliato che per varie ragioni intenda sciogliere anticipatamente il rapporto, non potendolo fare con il recesso, cercherà di trovare altre soluzioni (pretese irregolarità del contratto, inadempimenti del franchisor etc.) .
All’apposto, può verificarsi che il contratto giunga a scadenza naturale, non sia previsto un rinnovo automatico (o sia previsto a determinate condizioni) e l’affiliato intenda proseguire il rapporto, ad esempio per non perdere gli investimenti effettuati o perché non altre alternative di lavoro. In questo caso, dato che occorre il consenso del franchisor (non essendo previsto il rinnovo automatico), quest’ultimo può non essere d’accordo a rinnovare il contratto, o può chiedere condizioni diverse e più penalizzanti; e quindi si innesca un contenzioso.
In entrambi i casi, le situazioni di conflittualità possono essere prevenute regolamentando nel contratto le condizioni di fine rapporto in modo equilibrato, contemperando il più possibile gli interessi delle parti.
Può quindi essere opportuno a tal fine consentire all’affiliato di recedere anticipatamente (senza costringerlo a promuovere un contenzioso), regolamentando in modo oculato tal possibilità nel contratto; ad esempio, è possibile prevedere che l’affiliato:
- possa recedere solo a partire da un certo anno di durata del contratto;
- debba dare un congruo preavviso, in misura fissa o variabile in rapporto alla durata residua del contratto (ad esempio: 6 mesi se il recesso è esercitato nel terzo anno di durata del contratto, 4 mesi se è esercitato nel quarto anno, etc.);
- sia tenuto al pagamento di un importo a titolo di penale per il recesso anticipato, fissa o variabile, purché congrua.
Inoltre, può essere opportuno prevedere un rinnovo automatico del contratto alla scadenza, salvo disdetta da esercitare entro un certo termine (congruo) prima della scadenza, al più circoscrivendo le condizioni di mancato rinnovo al verificarsi di inadempimenti gravi commessi dall’affiliato.
10. Il contenzioso da attività concorrenziali dell’affiliato
Un filone ricorrente di contenzioso all’interno delle reti è costituito dalla violazione degli obblighi di concorrenza previsti a carico dell’affiliato. E’ abbastanza raro che l’affiliato violi tali obblighi nel corso del rapporto; più frequente il caso in cui la violazione avvenga dopo lo scioglimento del contratto (per qualsiasi causa esso avvenga: termine naturale, cessazione anticipata, risoluzione).
Frequentemente vengono infatti inseriti nei contratti di franchising patti di non concorrenza post-contrattuale, che obbligano l’affiliato a non esercitare attività identiche o similari a quelle svolte quando era parte della rete, sia direttamente che indirettamente, per un certo periodo dopo lo scioglimento del contratto.
Questa clausola è spesso fonte di contenzioso in quanto l’affiliato – che spesso non si era reso conto dell’esistenza di tale obbligo al momento della sottoscrizione del contratto – si ritrova, al termine del rapporto, privato della possibilità di esercitare l’attività che svolgeva in precedenza quando era parte della rete, magari l’unica che è in grado di svolgere o per la quale ha sostenuto ingenti investimenti; per tale ragione, l’affiliato cerca di contestare la validità del patto, in modo da non essere troppo danneggiato.
Che fare per evitare questo tipo di contenzioso, e/o risolverlo efficacemente? I suggerimenti in proposito sono tre.
In primo luogo, è opportuno limitare l’inserimento nei contratti di franchising di tale clausola ai casi in cui è veramente importante e/o indispensabile per il franchisor, cioè per tutelare il know-how. Non sempre i contratti di franchising prevedono un obbligo di non concorrenza post-contrattuale, ad esempio nel franchising di distribuzione.
In secondo luogo, è essenziale prevedere (nel contratto) una clausola lecita, cioè conforme alla normativa (non solo e non tanto italiana, quanto comunitaria: di qui l’importanza di consultarsi con un legale esperto in franchising. In sintesi, ai sensi del Regolamento CE n. 330/2010 (che si applica qualora un contratto di franchising abbia effetti rilevanti sul mercato italiano, ovvero quasi sempre), un patto di non concorrenza post-contrattuale è legittimo solo se:
- è necessario per la protezione del know how del franchisor (vedi sopra);
- si riferisce a beni o servizi in concorrenza con quelli oggetto del contratto di franchising;
- è limitato ai locali in cui il franchisee ha operato durante il contratto;
- non ha durata superiore a 1 anno dopo il termine del contratto.
Se il patto di non concorrenza post-contrattuale è valido, può essere utilmente azionato in giudizio in via cautelare urgente ex art. 700 C.p.c., ottenendo una inibitoria contro l’ex affiliato (il che significa che l’ex affiliato non potrà più continuare ad esercitare l’attività concorrenziale). Potranno inoltre essere chiesti i danni, in un separato giudizio ordinario di merito.
Infine, può essere opportuno prevedere (nel contratto) una via di uscita, cioè un exit per l’affiliato, in modo che quest’ultimo, se desidera (o ha la necessità di) svolgere la stessa attività dopo lo scioglimento del rapporto, non abbia solo l’alternativa del contenzioso: ad esempio, può essere opportuno prevedere la possibilità di sciogliersi da tale vincolo pagando una penale, purché non eccessiva (altrimenti l’obiettivo non è raggiunto).
Un’altra ipotesi che si verifica abbastanza frequentemente è quella in cui l’ex affiliato, oltre a continuare ad esercitare attività analoga a quella svolta nella rete, utilizzi un marchio simile a quello del franchisor. Questa è una situazione molto grave e pericolosa per il franchisor, che deve essere immediatamente bloccata (anche in via cautelare urgente ex art. 700 C.p.c., ottenendo una inibitoria contro l’ex affiliato).
Occorre tuttavia che il marchio registrato dal franchisor sia efficacemente tutelabile, cioè sia un marchio forte (quindi quando non è descrittivo del prodotto/servizio del titolare, o comunque rinomato); se invece il marchio è debole (quindi dotto di capacità distintiva), sono sufficienti lievi modifiche da parte dell’ex affiliato (o di terzi) per evitarne la confondibilità, e quindi per essere legittimamente utilizzato da tali soggetti.
11. Suggerimenti finali: a) evitare i contenziosi con un “buon” contratto di franchising
Infine, alcune indicazioni generali in modo da favorire la prevenzione dei conflitti nel franchising e risolvere efficacemente i contenziosi insorti nella rete.
Anzitutto, ricordiamo che la base di ogni rapporto di franchising è il contratto; dunque, la chiave per prevenire conteziosi con gli affiliati è strutturare un “buon” contratto di franchising. Ma cosa intendo per “buon” contratto di franchising?
In generale, un contrato di franchising deve possedere tre caratteristiche:
- deve essere valido, cioè conforme alle normative applicabili, generali e speciali (in primis la L. n. 129/2004, ma non solo); un contratto di franchising che presenti clausole di dubbia legittimità è il miglioro viatico per fomentare contenziosi.
- deve essere efficace, cioè deve contenere le clausole realmente funzionali a proteggere gli interessi del franchisor; ad esempio, deve contenere una clausola risolutiva espressa ben redatta, la possibilità di sospendere forniture/servizi in caso di inadempienza del franchisor, clausole penali congrue, garanzie personali o bancarie, e così via.
- infine, deve essere equilibrato, cioè deve tutelare gli interessi del franchisor ma senza essere eccessivamente e ingiustificatamente vessatorio nei confronti dell’affiliato; un contratto ingiustificatamente squilibrato a favore del franchisor costituisce un incentivo al contenzioso per l’affilato.
E’ opportuno evidenziare, sotto quest’ultimo profilo che le clausole restrittive della concorrenza dell’affiliato sono in linea generale valide (purché sottoscritte espressamente ai sensi dell’art. 1341 c.c.), ma non possono comprimere eccessivamente l’autonomia imprenditoriale dell’affiliato; in altri termini, esse devono essere funzionali a garantire l’uniformità della rete e a tutelare l’immagine e il know-how del franchisor, altrimenti potrebbero essere ritenute invalide perché costituiscono abuso di dipendenza economica del franchisor ai danni del franchisee.
12. Suggerimenti finali: b) risolvere efficacemente i contenziosi con i sistemi di ADR (mediazione e arbitrato)
Infine, per risolvere efficacemente un contenzioso è importante per una rete in franchising ricorrere a metodi di risoluzione delle controversie alternativi rispetto alla giustizia ordinaria (ADR), ovvero la mediazione e- soprattutto- l’arbitrato.
Ho già accennato all’inizio dei gravi limiti del nostro sistema di giustizia ordinaria, che lo rendono, in generale, inadatto per risolvere i problemi legali delle imprese, e quindi anche delle reti in franchising. D’altra parte, non si tratta di una situazione solo italiana: in media, circa il 90% dei conflitti di natura commerciale nel mondo sono risolti fuori delle aule dei tribunali, attraverso appunto metodi alternativi di risoluzione delle controversie .
Ciò significa in primo luogo che è opportuno inserire nel contratto una clausola di mediazione obbligatoria, rendendo così necessario rivolgersi ad un istituto di mediazione prima di adire le vie legali. La mediazione può consentire di risolvere un contenzioso in tempi brevi e con costi di gran lunga inferiori a qualsiasi contenzioso.
In secondo luogo, è opportuno inserire nel contratto una clausola compromissoria, in modo da devolvere le controversie che dovessero insorgere in ordine al contratto di franchising ad arbitri. L’arbitrato presenta due grandi vantaggi rispetto alla giustizia ordinaria:
- maggiore competenza rispetto ai giudici togati;
- maggiore rapidità rispetto al procedimento ordinario.
L‘unico svantaggio dell’arbitrato rispetto alla giustizia ordinaria è costituito dai maggiori costi; essi possono tuttavia essere contenuti prevedendo un arbitrato amministrato (ad esempio da una camera di commercio) e/o un arbitro unico.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Consulenza legale Franchisor
Abbiamo una vasta esperienza nella consulenza e assistenza legale nel franchising.
Abbiamo assistito numerose reti in franchising, nelle attività di contenzioso e recupero crediti.
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