La pubblicità nel franchising: profili legali
Come per ogni altra attività d’impresa, la pubblicità riveste molta importanza anche nel franchising. La pubblicità effettuata dai franchisors nei confronti dei potenziali affiliati è disciplinata dal D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese (B2B). In questo ambito si sono verificati, anche in tempi recenti, numerosi casi in cui l’’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato sanzioni per pubblicità ingannevole nei confronti di franchisors che hanno divulgato messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli. Tali provvedimenti hanno comportato non soltanto l’irrogazione alle imprese titolari di reti in franchising di sanzioni pecuniarie, ma anche e soprattutto ricadute negative sul piano dell’immagine. Senza contare le azioni risarcitorie promosse dai soggetti danneggiati dal messaggio pubblicitario ingannevole (franchisee, ex franchisee) sulla base dei provvedimenti dell’Autorità. In questo articolo analizziamo le principali norme che disciplinano la pubblicità e alcuni recenti casi in cui l’AGCM ha sanzionato franchisors per pubblicità ingannevole, fornendo alcuni suggerimenti utili ai franchisors per evitare responsabilità e rischi di sanzioni.
1. La pubblicità nel franchising
Come per ogni altra attività d’impresa, la pubblicità – sia essa effettuata secondo modalità tradizionali (off line) o tramite internet (on line) – riveste molta importanza anche nel franchising. In generale, la promozione pubblicitaria nel campo del franchising può avere due diversi destinatari:
- da una parte, i potenziali affiliati, che vengono attratti dal franchisor ad aderire alla rete in franchising;
- dall’altra, i clienti finali, destinatari dell’attività svolta dagli affiliati nell’ambito della rete in franchising.
Gli operatori pubblicitari, cioè i committenti del messaggio pubblicitario, possono quindi essere, a seconda dei casi, franchisors o franchisee.
La prima forma di pubblicità (diretta ai potenziali franchisee), è svolta solo dal franchisor. Il secondo tipo di pubblicità può essere invece svolta, oltre che dal franchisor, anche dai franchisee.
In questo secondo caso, la pubblicità viene generalmente effettuata comunque non in piena autonomia dai franchisee bensì dietro coordinamento e direzione del franchisor, per garantire l’esigenza di uniformità della rete in franchising e di tutela dell’immagine della rete stessa.
Come qualunque attività pubblicitaria, anche quella svolta nell’ambito del franchising è soggetta ad una complessa e variegata normativa, in gran parte di origine comunitaria, finalizzata ad assicurare il buon funzionamento del mercato e della concorrenza.
Le norme applicabili sono diverse a seconda che la pubblicità sia diretta ai potenziali affiliati o ai clienti finali.
Nel primo caso, poiché i (potenziali) franchisee sono considerati dal punto di vista giuridico come imprenditori (e non consumatori), trova applicazione il D.lgs. n. 145/2007, che vieta la pubblicità ingannevole e comparativa illecita nei rapporti tra imprese (B2B).
Qualora invece la pubblicità sia rivolta ai clienti finali, si applica il D.lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), che disciplina le pratiche commerciali scorrette nei rapporti tra imprese e consumatori (B2C).
Accanto a tali discipline può inoltre trovare applicazione:
- la disciplina del Codice civile sulla responsabilità contrattuale e sulla concorrenza sleale, prevista agli 2598 e ss. c.c.;
- il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, che stabilisce le regole sulla pubblicità che devono essere rispettate dalle imprese.
In questo articolo ci soffermeremo esclusivamente sulla prima forma di pubblicità, rivolta ai potenziali franchisee.
In questo ambito si sono verificati, anche in tempi recenti, numerosi casi in cui l’’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato sanzioni per pubblicità ingannevole, nei confronti di franchisors che hanno in vario modo divulgato messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli.
Tali provvedimenti hanno comportato non soltanto l’irrogazione alle imprese titolari di reti in franchising di sanzioni pecuniarie talvolta pesanti, ma anche e soprattutto ricadute negative sul piano dell’immagine. Senza contare le possibili azioni risarcitorie che possono essere promosse dai soggetti danneggiati dal messaggio pubblicitario ingannevole (franchisee, ex franchisee) sulla base dei provvedimenti dell’Autorità.
Di qui l’importanza – spesso purtroppo sottovalutata o addirittura ignorata – per i franchisors di prestare molta attenzione a tutti messaggi pubblicitari che vedono come destinatari i potenziali affiliati.
La pubblicità è uno strumento molto importante, ma anche potenzialmente pericoloso. E’ dunque essenziale che la liceità di qualunque messaggio pubblicitario sia scrupolosamente valutata sotto il profilo della correttezza, completezza e veridicità, per evitare di incorrere in spiacevoli sorprese.
In questo articolo analizziamo, in sintesi, le principali norme che disciplinano la pubblicità e alcuni recenti casi in cui l’AGCM ha sanzionato franchisors per pubblicità ingannevole, fornendo alcuni suggerimenti utili ai franchisors per evitare responsabilità e rischi di sanzioni.
2. Cosa è considerata “pubblicità”?
Dal punto di vista giuridico, costituisce “pubblicità” qualsiasi messaggio, diffuso con qualunque mezzo e modalità, che sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale – cioè, in questo caso, l’adesione ad una rete in franchising (art. 2, comma 1 D.lgs. n. 145/2007).
Si tratta quindi di una nozione molto ampia di pubblicità, che prescinde dal mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario venga diffuso, purché lo stesso sia finalizzato a promuovere una determinata attività imprenditoriale.
Rientrano quindi nell’ambito della pubblicità – soggetta alla relativa disciplina – non soltanto i messaggi pubblicitari in senso stretto, (slogans, volantini, brochure, banners etc.) ma anche i business plans, i prospetti informativi ai sensi della L. 129/2004 e gli articoli giornalistici, qualora sia prevalente l’aspetto pubblicitario su quello informativo, sotto il profilo dell’impatto comunicativo per il destinatario.
Le indicazioni ed i dati contenuti in tali messaggi (ed in particolare nei business plans) hanno infatti costituto frequente oggetto di provvedimenti sanzionatori dell’AGCM.
Occorre quindi prestare molta attenzione a tutti i messaggi che vengono diffusi da una rete in franchising, anche se non pubblicitari in senso stretto (come ad esempio i business plans o gli articoli giornalistici), perché – come vedremo in seguito – dagli stessi possono nascere rilevanti responsabilità e rischi legali in capo al franchisor.
3. Le regole generali sulla pubblicità nel franchising
Quali caratteristiche devono avere i messaggi pubblicitari nel franchising per essere leciti dal punto di vista giuridico e quindi non esporre il franchisor a responsabilità e rischi legali?
L’art. 1°, 2° comma, del D.lgs 145/2007 prevede che in generale la pubblicità deve essere:
- palese
- veritiera
- corretta
Tali caratteristiche devono essere presenti nel messaggio pubblicitario fin dal primo contatto con il destinatario. Il messaggio pubblicitario infatti esaurisce la propria funzione nell’indurre il destinatario a rivolgersi al professionista.
La comunicazione d’impresa deve essere quindi chiara e completa fin dall’inizio, indipendentemente dal fatto che il destinatario possa apprendere ulteriori elementi successivamente, tramite rinvio ad altre fonti informative.
Ne consegue che nel franchising un messaggio pubblicitario ingannevole non è sanato dal fatto che successivamente, in sede di trattative, il potenziale franchisee riceva le informazioni pre-contrattuali ai sensi della L. n. 129/2004.
Questa circostanza è molto importante e troppo spesso trascurata dai franchisors, che tendono a credere che un messaggio pubblicitario “scorretto” possa essere sanato successivamente, per così dire, “in corso d’opera”. Niente di più sbagliato!
Se quindi ad esempio sono stati indicati, in un volantino, una brochure o un business plan, dati inesatti sulla rete in franchising (anzianità, numero di affiliati, costi di affiliazione, redditività dei punti vendita, etc.), l’ingannevolezza del messaggio non può essere “rimediata” successivamente, fornendo all’affiliato chiarimenti ed informazioni correttive, anche ai sensi della L. n. 129/2004.
Come è appunto accaduto nei casi MailBoxes (2012) ed Ecostore (2014), in cui l’AGCM ha sanzionato le società perché nelle comunicazioni commerciali non avevano informato che i dati di fatturato medio prospettati presupponevano che l’affiliato svolgesse determinate attività (nella specie: promozione e vendita, rapporti con corrieri convenzionati, acquisto di espositori di prodotti tramite corner), nonostante che tali aspetti venissero poi chiariti durante gli incontri con i potenziali affiliati prima della firma del contratto.
I requisiti di liceità della pubblicità devono essere inoltre valutati in rapporto alla qualifica dei destinatari. Nel franchising, quando il messaggio è diretto ai potenziali affiliati, occorre considerare che si tratta di soggetti che:
- hanno interesse ad intraprendere un’attività di natura imprenditoriale, ai quali deve essere consentita una scelta consapevole in merito all’adesione alla proposta di affiliazione commerciale;
- sono spesso piccoli imprenditori individuali, privi di esperienza specifica nel settore, che traggono dall’attività in franchising il proprio sostentamento e quello della loro famiglia; gli stessi pertanto devono essere considerati e tutelati in modo simile ai consumatori.
Ciò significa che la correttezza di un messaggio pubblicitario rivolto ai potenziali affiliati in franchising viene generalmente valutata con particolare rigore dall’Autorità.
L’Art. 5 del D.lgs 145/2007 prevede altresì che la pubblicità deve essere sempre “chiaramente riconoscibile” come tale, e che la pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione.
Ai destinatari del messaggio pubblicitario deve dunque essere consentito di riconoscere la natura promozionale e non indipendente dello stesso, in modo che venga attivata una sufficiente reazione critica e soglia di attenzione.
Il principio della riconoscibilità può suscitare delle criticità con riferimento ai messaggi pubblicitari on line, a causa delle particolari modalità con le quali essi sono a volte diffusi. Si pensi, ad es. ai cd. banner, che possono cerare problemi quando le loro caratteristiche sono tali da generare confusione con il contesto nel quale risultano presenti.
4. La pubblicità ingannevole
L’art. 2, lett. b), del D.lgs. n. 145/2007 vieta la pubblicità ingannevole, definita come “qualsiasi pubblicità che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione, è idonea a indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico, ovvero che, per questo motivo sia idonea a ledere un concorrente”.
E’ quindi ingannevole il messaggio pubblicitario che, in qualunque modo, compresa la sua presentazione (modo in cui il messaggio viene inserito nel giornale o sito web, ecc.), e indipendentemente dall’intento dell’operatore (cioè oggettivamente), sia idoneo a:
- indurre in errore i destinatari o coloro che raggiunge (quindi anche i concorrenti);
- pregiudicare il comportamento economico dei destinatari, anche solo potenzialmente (cioè indipendentemente dal fatto che il messaggio produca un danno).
Ai sensi dell’art. 3 Dlgs 145/2007, nella valutazione del carattere ingannevole di un messaggio pubblicitario è necessario considerarne tutti gli elementi, con particolare attenzione:
a) alle caratteristiche dei beni o dei servizi (disponibilità, natura, esecuzione, composizione, metodo e data di fabbricazione o della prestazione, idoneità allo scopo, usi, quantità, descrizione, origine geografica o commerciale, risultati che si possono ottenere con il loro uso, risultati e caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o sui servizi);
b) al prezzo o al modo in cui questo è calcolato ed alle condizioni alle quali i beni o i servizi sono forniti;
c) alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell’operatore pubblicitario (identità, patrimonio, capacità, diritti di proprietà intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali relativi all’impresa ed i premi o riconoscimenti).
Come si vedrà meglio in seguito, è molto importante – per evitare il rischio che un determinato messaggio pubblicitario possa essere ritenuto ingannevole – che il franchisor si precostituisca fin dall’inizio – cioè prima di diffondere il messaggio – la prova dell’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità. Infatti, è l’impresa che deve dimostrare la veridicità del messaggio pubblicitario, qualora ne venga contestata l’ingannevolezza.
5. La pubblicità comparativa
La pubblicità comparativa è quella modalità di comunicazione pubblicitaria con la quale un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti, individuati genericamente o invece specificamente.
La pubblicità comparativa può essere:
- diretta, quando i concorrenti sono riconoscibili o mediante citazione espressa della loro denominazione o del loro marchio (es.: “L’auto X è più confortevole della Y e costa meno”), ovvero mediante l’indicazione di elementi che li rendano inequivocabilmente riconoscibili (es.: “Ci sono banane solo con il timbro e ci sono banane sane come Paquita”);
- indiretta, quando chi attribuisce al proprio prodotto pregi unici implicitamente afferma che tali pregi non sono posseduti da tutti i prodotti concorrenti (es.: “L’unica autovettura silenziosa come la notte”).
Il confronto può essere espresso attraverso parole o immagini in grado di ottenere, spesso in modo più efficace, il medesimo risultato.
La pubblicità comparativa è lecita quando:
- non è ingannevole (v. il par. precedente);
- confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi obiettivi;
- confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il prezzo, di tali beni e servizi;
- non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti o tra l’operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi dell’operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
- non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione di un concorrente;
- per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
- non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti;
- non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione commerciale depositati.
6. Il business plan è uno strumento pubblicitario
Il business plan è molto spesso utilizzato nel franchising, soprattutto nella fase delle trattative, per illustrare i vantaggi di cui l’affiliato usufruisce entrando a far parte di una rete in franchising. Si tratta come è noto di previsioni circa la redditività della futura attività del franchisee, che, con varie modalità, il franchisor sottopone all’aspirante franchisee spontaneamente – in quanto non rientra tra le informazioni pre-contrattuali che devono essere fornite ai sensi della L. n. 129/2004 – per invogliarlo ad entrare a far parte di una rete in franchising.
Nella prassi infatti molto spesso il franchisor, spontaneamente o su richiesta dell’aspirante affiliato, mostra o consegna a quest’ultimo un documento contenente una previsione circa i profitti che conseguiranno per effetto dell’adesione al suo network, alla luce dei costi che dovranno essere sostenuti.
Tali previsioni possono essere formulate nel modo più vario, con maggiore o minore grado di dettaglio, con maggiore o minore riferimento all’effettivo mercato nel quale opererà l’affiliato, etc. In ogni caso, è ovvio che quasi sempre il business plan contiene proiezioni positive ed incoraggianti circa i profitti dell’affiliato, in modo da influire positivamente sulla sua decisione.
Si tratta tuttavia di uno strumento da maneggiare con molta attenzione da parte del franchisor.
Non è infrequente che si verifichi, nel corso del rapporto di franchising, uno scostamento più o meno rilevante tra i dati indicati nel business plan e i profitti effettivamente raggiunti dal franchisee. In questi casi, il franchisee, che si trova in una situazione di difficoltà – evenienza purtroppo ricorrente nell’attuale congiuntura economica – cerca di far valere le prospettazioni contenute nel business plan che a suo tempo gli era stato consegnato, allo scopo di promuovere un’azione legale nei confronti del franchisor per ottenere il risarcimento del danno, oppure semplicemente per sciogliersi anticipatamente da un contratto di franchising divenuto ormai per lui eccessivamente oneroso e poco redditizio.
Ed ecco che il business plan da formidabile strumento pubblicitario può trasformarsi in un vero e proprio boomerang per il franchisor.
Sebbene dal punto di vista giuridico, non sorga automaticamente una responsabilità in capo al franchisor nei confronti del franchisee qualora quest’ultimo non consegua effettivamente i profitti che erano stati previsti nel business plan – dato che il franchisee è considerato un imprenditore autonomo che sopporta per intero i rischi d’impresa, spesso legati a situazioni oggettive di mercato o a capacità soggettive del franchisee stesso – la mancata realizzazione delle previsioni di un business plan può porre il franchisor in una situazione di rischio.
Ciò accade quando il business plan consegnato al franchisee contenga dati o informazioni inesatte, incomplete o addirittura false. In questo caso, dato che il franchisee inevitabilmente fa affidamento sul business plan nel corso delle trattative – ed anzi si tratta del documento che più di ogni altro costituisce l’elemento determinante che spinge un soggetto ad affiliarsi ad una determinata rete in franchising – lo stesso può ottenere l’annullamento del contratto di franchising per dolo o errore, con conseguente risarcimento del danno.
Ma vi è poi un altro aspetto, forse ancor più importante. Il business plan è infatti uno strumento pubblicitario, e in quanto tale è soggetto alle valutazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Un business plan che contenga affermazioni non veritiere, o comunque la cui veridicità non è non dimostrabile in modo oggettivo, circa i possibili profitti derivanti dall’affiliazione commerciale, potrebbe quindi essere considerato pubblicità ingannevole, e quindi può esporre il franchisor a sanzioni pecuniarie anche elevate, da parte dell’AGCM.
Ed infatti, già in numerosi casi l’AGCM ha comminato sanzioni a vari franchisors per avere generato con messaggi pubblicitari ingannevoli di vario tipo false aspettative in capo agli aspiranti affiliati circa i risultati economici realizzabili attraverso l’affiliazione, ad es. prospettando guadagni “certi” quando invece gli stessi erano in realtà altamente incerti, in quanto dipendevano dalle più diverse variabili.
E’ quindi opportuno che il franchisor predisponga con molta accortezza e precisione il business plan indirizzato agli aspiranti franchisee, in modo che lo stesso
- sia il più possibile conforme alla specifica realtà imprenditoriale nella quale opererà il franchisee;
- contenga dati e previsioni prudenziali;
- si basi su criteri oggettivi e dimostrabili a posteriori;
- contenga specifici warnings circa la mancanza di vincolatività dei dati ivi contenuti nonché circa il fatto che lo stesso contiene mere previsioni e non di promesse di risultato, il cui esito potrà dipendere da circostanze non controllabili dallo stesso franchisor e/o attinenti al franchisee
7. L’AGCM e il procedimento per pubblicità ingannevole
L’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato (AGCM), istituita dalla Legge n. 287/1990, è l’organo incaricato dell’applicazione della disciplina in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.
L’AGCM ha dei poteri molto penetranti e molto maggiori di quelli di un giudice. L’AGCM possiede infatti una serie di poteri investigativi, che comprendono la possibilità di:
- accedere a qualsiasi documento pertinente
- richiedere a chiunque informazioni e documenti pertinenti, con la facoltà di sanzionare l’eventuale rifiuto o la trasmissione di informazioni e documenti non veritieri
- effettuare ispezioni
- avvalersi della Guardia di Finanza
- disporre perizie
- consultare esperti.
L’AGCM è generalmente molto rapida nei propri procedimenti, che di solito terminano nel giro di sei mesi dall’inizio dell’istruttoria (contrariamente a quanto accade nei giudizi davanti all’Autorità giudiziaria ordinaria, che come è noto durano purtroppo vari anni).
Pertanto, è essenziale che, quando un franchisor è sottoposta ad un procedimento davanti all’AGCM per (presunta) pubblicità ingannevole, si rivolga tempestivamente ad un legale esperto in materia.
Dati i poteri molto penetranti dell’AGCM e (come si vedrà) le sanzioni anche molto pesanti che l’AGCM può irrogare, in caso di indagini è opportuno assumere un atteggiamento molto prudente; Da una parte occorre essere collaborativi con l’AGCM, ma dall’altra occorre tutelare attentamente i propri diritti nel procedimento.
L’AGCM si può attivare d’ufficio o a seguito di una denuncia, che può essere effettuata da chiunque ne abbia interesse (ivi comprese le imprese concorrenti). La denuncia all’AGCM deve contenere i dati identificativi del denunciante (non sono infatti ammissibili denunce anonime, anche se è consentita una certa riservatezza), l’indicazione del messaggio pubblicitario denunciato ed i motivi per i quali lo si ritiene ingannevole.
Già in fase pre-istruttoria il responsabile del procedimento, qualora sussistano fondati motivi per ritenere che il messaggio pubblicitario costituisca pubblicità ingannevole o pubblicità comparativa illecita, ma al contempo non emergano profili di particolare gravità, può invitare il professionista a rimuovere i profili di possibile ingannevolezza o illiceità (moral suasion). Se il professionista aderisce all’invito, la pratica viene archiviata.
L’AGCM archivia la denunzia se non emergono elementi di ingannevolezza, tenuto conto anche dell’ambito di diffusione del messaggio e del fatto che la denunzia o il messaggio siano isolati e sporadici. Altrimenti l’AGCM dà inizio alla fase istruttoria, dandone comunicazione a tutti i soggetti interessati e sul sito internet dell’AGCM.
Può partecipare all’istruttoria qualsiasi soggetto che vi abbia interesse (ad es. anche altri affiliati ed ex affiliati, concorrenti). Nel corso dell’istruttoria le parti interessate hanno la possibilità di depositare memorie difensive e accedere alla documentazione, tranne i casi di manifesta riservatezza (ad es. segreti commerciali). Il responsabile del procedimento può disporre audizioni delle parti interessate.
Durante l’istruttoria, l’AGCM può disporre la sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole o comparativa illecita, in caso di particolare urgenza.
L’impresa può, entro 45 gg. dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, presentare un impegno a porre fine all’infrazione, a cessare la diffusione del messaggio o a modificarlo in modo da eliminare i motivi della sua illegittimità. Questa possibilità deve essere esaminata con molta attenzione.
L’impegno viene valutato dall’AGCM, che può proporre integrazioni. Se l’AGCM accetta l’impegno, può non procedere all’accertamento dell’infrazione. L’AGCM può anche obbligare l’impresa a pubblicare a sue spese la dichiarazione di assunzione dell’impegno. Se l’impresa non attua l’impegno, le vengono irrogate sanzioni pecuniarie e può essere sospesa l’attività fino a 30 gg.
L’AGCM non può però accettare impegni nei casi di grave e manifesta ingannevolezza del messaggio o qualora l’impegno non sia ritenuto idoneo a rimuovere l’ingannevolezza.
E’ importante evidenziare che è il franchisor a dover dimostrare l’esattezza materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità. Se tale prova non viene fornita o è ritenuta insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti. Occorre quindi prestare particolare attenzione, fin dall’inizio, a precostituirsi la documentazione idonea a dimostrare la veridicità delle informazioni veicolate attraverso la pubblicità. In particolare, in caso di dati economici, occorre essere in possesso di riscontri oggettivi, dotati di valenza economico – statistica, circa i dati pubblicizzati.
Così, se ad esempio nei messaggi pubblicitari vengono menzionate determinate prospettive di guadagno per gli affiliati, qualora emerga che, viceversa, solo una minima parte dei punti vendita (o addirittura nessuno) abbia effettivamente conseguito il fatturato pubblicizzato, l’impresa franchisor deve dimostrare che i dati di fatturato prospettati si fondavano su dati effettivi, e non previsioni meramente presuntive e prive di riscontro oggettivo. Qualora non riesca a fornire la prova di ciò, l’AGCM provvede ad irrogare una sanzione.
Come è appunto accaduto nei recenti casi DIF&CO (2014) e Mirkoro (2015), in cui l’Autorità ha sanzionato il franchisor, rispettivamente, per avere pubblicizzato la possibilità per gli affiliati di realizzare guadagni certi, quando invece il risultato economico prospettato era del tutto incerto (e talvolta anzi inesistente), in quanto legato alle variabili dell’attività d’impresa, e per non avere dimostrato che il prezzo di acquisto dei prodotti in oro da parte dei punti vendita non era in realtà corrispondente a quello reclamizzato.
8. Le sanzioni dell’AGCM per pubblicità ingannevole
Se l’AGCM accerta l’ingannevolezza del messaggio pubblicitario, può:
- vietare di diffondere o di continuare la diffusione del messaggio;
- obbligare l’operatore a rendere pubblica la decisione dell’AGCM a sue spese a mezzo stampa, oppure attraverso la radio o la televisione, o eventualmente attraverso la diffusione di un’apposita dichiarazione di rettifica;
- condannare l’operatore a una sanzione amministrativa pecuniaria, che, tenuto conto della gravità e della durata della violazione, può andare da 5.000,00 a 500.000,00 Euro. La sanzione deve essere pagata entro 30 giorni.
Se i provvedimenti dell’AGCM non vengono rispettate, l’AGCM applica una ulteriore sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 a 150.000,00 Euro e, nel caso di reiterata violazione, può disporre la sospensione dell’attività di impresa fino a 30 giorni.
La quantificazione della sanzione pecuniaria avviene sulla base dei criteri di cui all’art. 11 L. n. 689/81, ovvero:
- la gravità della violazione;
- l’entità del pregiudizio arrecato ai destinatari (ad es., l’esborso economico richiesto per aderire alla rete in franchising);
- la durata della violazione (se superiore a 1 mese la violazione è già grave, ed aumenta all’aumentare del periodo di diffusione della pubblicità;
- la modalità di diffusione, l’ampiezza e capacità di penetrazione del messaggio (se il messaggio è diffuso a mezzo internet, è suscettibile di raggiungere un ampio numero di consumatori, con conseguente maggiore gravità della sanzione);
- l’opera svolta dall’operatore per attenuare o eliminare l’infrazione;
- le condizioni economiche dell’operatore (fatturato);
- la tipologia dei destinatari (la sanzione è più grave se la pubblicità è diretta a consumatori o piccoli imprenditori, come nel caso della maggior parte degli affiliati).
Contro la decisione dell’AGCM si può ricorrere al Giudice amministrativo (TAR – Consiglio di Stato).
Il TAR (e il CdS) si limita tuttavia ad un controllo di mera legittimità (violazione di legge – eccesso di potere), ovvero della non manifesta infondatezza della decisione dell’AGCM sotto il profilo della logicità, coerenza e completezza della motivazione con cui è stata ritenuta l’ingannevolezza del messaggio. Non viene invece valutato il merito, cioè l’ingannevolezza del messaggio.
Per tale motivo, nella maggioranza dei casi il TAR conferma la decisione dell’AGCM. Dunque è consigliabile impugnare le decisioni dell’AGCM solo in caso di manifesta infondatezza o illogicità.
9. Gli ulteriori rischi legali per il franchisor in caso di pubblicità ingannevole
Ma oltre alle sanzioni pecuniarie che possono essere irrogate dall’AGCM, vi sono poi ulteriori, e forse ancor più gravi, rischi ai quali può andare incontro il franchisor in caso di pubblicità ingannevole.
Una pronuncia dell’AGCM per pubblicità ingannevole provoca infatti una serie di rilevanti effetti negativi per il franchisor.
Accanto al danno economico diretto (sanzione pecuniaria, divieto di diffusione del messaggio), vi è infatti un rilevante danno economico indiretto, dato dal discredito commerciale e dal danno d’immagine derivante dalla pubblicazione della decisione e dalle notizie sui media.
Questa seconda tipologia di danno è ancora più grave, perché può danneggiare l‘intera rete in franchising, ostacolandone lo sviluppo e provocando ripercussioni interne che ne possono metterne a repentaglio perfino l’esistenza sul mercato.
Vi è poi un ulteriore danno economico potenziale, costituito dalla possibilità di azioni risarcitorie davanti al giudice ordinario.
Infatti, i soggetti che si ritengono danneggiati dal messaggio pubblicitario ingannevole (franchisee, ex franchisee) possono (oltre che fare denunzia all’AGCM), ricorrere in via giurisdizionale davanti al Giudice ordinario, per chiedere il risarcimento del danno.
La tutela in via amministrativa (davanti all’AGCM) e quella giurisdizionale (davanti al Giudice Ordinario) corrono infatti su binari paralleli, in quanto l’una non incide sull’altra; tuttavia vi sono interferenze di fatto.
Un provvedimento dell’AGCM che accerta la natura ingannevole di un messaggio pubblicitario costituisce un grave indizio nel giudizio davanti al Giudice ordinario circa la responsabilità dell’operatore (per dolo o errore), e può quindi essere utilizzata per ottenere il risarcimento del danno, anche in modo strumentale.
In tal caso quindi un ex affiliato può dimostrare che la pubblicità ingannevole – accertata dall’AGCM – ha provocato un vizio nella formazione della sua volontà, determinante del consenso alla conclusione del contratto di franchising (dolo o errore), chiedendo l’annullamento del contratto e il risarcimento dei danni.
Oppure, un concorrente del franchisor (ad esempio un’altra rete in franchising, operante in un settore analogo) potrebbe dimostrare che il messaggio pubblicitario ingannevole ha costituito un atto di concorrenza sleale, ai sensi dell’art. 2598 c.c.
10. Alcuni recenti casi di provvedimenti dell’AGCM per pubblicità ingannevole nel franchising
Vediamo ora alcuni recenti casi di provvedimenti sanzionatori assunti dall’AGCM in caso di pubblicità ingannevole.
10.1 Il caso KiPoint (2010)
Kipoint era un’iniziativa commerciale di Posteshop che offriva ad aspiranti imprenditori la possibilità di aprire un punto “Kipoint” ed operare come centro servizi per spedizioni nazionali ed internazionali, servizi di imballaggio, fotocopisteria ed invio fax, stampa digitale, mailing e direct mailing e come rivenditore a catalogo di prodotti di cancelleria e cartoleria.
KI Point aveva diffuso messaggi mediante materiale pubblicitario di vario genere per promuovere la rete in franchising, nei quali tra l’altro:
- si quantificava il fatturato medio annuo realizzabile “a regime” dai punti vendita Kipoint in una cifra pari a 200.000 Euro;
- si presentava la rete Kipoint come una rete “solida e in grande crescita”.
L’AGCM (provvedimento n. 20951/2010) ha ritenuto i messaggi ingannevoli perché era stato provato che, contrariamente a quanto pubblicizzato, nel periodo di riferimento il trend era quello di chiusure in crescita e nuove aperture in calo; inoltre la c.d. ‘media” di fatturato era stata raggiunta, solo da ¼ degli affiliati, mentre gli altri avevano registrato fatturati inferiori anche di molto rispetto a tale media.
Da sottolineare che, in questo caso, l’AGCM ha respinto gli impegni proposti da Ki Point nel corso dell’istruttoria, per la manifesta scorrettezza e gravità dell’infrazione contestata.
L’AGCM ha quindi irrogato al franchisor una sanzione di Euro 100.000, in considerazione della capacità di penetrazione dei mezzi utilizzati (riviste specializzate e dépliant), del potenziale pregiudizio del comportamento economico del destinatario (per il quale le previsioni in merito al fatturato realizzabile costituiscono un elemento fondamentale e decisivo ai fini dell’adesione alla rete) e della dimensione economica del professionista (Posteshop S.p.A. appartiene al gruppo Poste) e della situazione economica del professionista, che presentava un bilancio in perdita.
10.2 Il caso Primacasa (2010)
Primacasa Franchising Network, in una campagna pubblicitaria diffusa a mezzo stampa e internet, aveva indicato un numero di affiliati maggiore di quello reale e aveva dichiarato di essere “leader” da 20 anni nel settore.
Avviata l’istruttoria dell’AGCM (provvedimento n. 21101/2010), Primacasa presentava impegni per rimuovere i profili di scorrettezza contestati; in particolare si impegnava a non utilizzare espressioni quali “Oltre 200 punti vendita affiliati in Italia” ovvero “Oltre 250 punti vendita affiliati in Italia” nell’ambito delle “future campagne pubblicitarie, nelle brochures Primacasa News, nel proprio sito internet ed in ogni altra futura comunicazione commerciale”. A conferma degli impegni assunti, Primacasa produceva copia delle brochure modificate.
Alla luce del comportamento del franchisor, l’’ACGM decideva di non irrogare alcuna sanzione, in quanto accettava gli impegni non ritenendo sussistere i presupposti della manifesta scorrettezza e particolare gravità del messaggio.
10.3 Il caso MailBoxes (2012)
Alcuni affiliati si rivolgono all’AGCM nei confronti della società licenziataria esclusiva per l’Italia dei marchi “MBE/Mail Boxes Etc”., denunziando la presunta ingannevolezza di alcuni messaggi diffusi a mezzo stampa e internet sotto vari profili, tra cui la redditività dell’attività in franchising.
L’AGCM (provvedimento AGCM n. 24130/2012) accerta che il raggiungimento dei risultati economico – reddituali prospettati nelle comunicazioni commerciali nella forma di fatturato medio annuo presupponeva che l’affiliato svolgesse il c.d. farming, cioè un’attività di promozione e vendita esterna a livello locale da parte del POS per la ricerca di nuovi clienti (c.d. “bussare alle porte”).
Tale attività costituiva un obbligo contrattuale per gli affiliati, pena la possibile valutazione di inadempimento della medesima. Pertanto, ai fini di una consapevole valutazione circa il possibile ottenimento dei suddetti risultati riportati nelle comunicazioni commerciali, risultava indispensabile la conoscenza di questa rilevante obbligazione contrattuale, che non veniva invece mai citata né in alcun modo descritta nei messaggi pubblicitari.
Inoltre, nei messaggi pubblicitari non veniva menzionata la circostanza che il punto vendita Mail Boxes Etc. non effettua “direttamente” le spedizioni ma si avvale di corrieri convenzionati, con margini di guadagno da questa attività che inevitabilmente si riducono in ragione dei costi da sostenere per la fornitura e la remunerazione del servizio di spedizione da parte dei suddetti corrieri esterni. Anche in questo caso, ai fini di una consapevole valutazione circa il possibile raggiungimento dei risultati economico – reddituali prospettati nei messaggi era necessaria la conoscenza dell’estensione delle attività poste in capo agli affiliati.
Secondo l’AGCM l’ingannevolezza dei messaggi non era sanata dal fatto che nella fase precedente alla stipula del contratto preliminare di affiliazione, e cioè durante i numerosi incontri che si svolgono con i potenziali affiliati prima della firma del contratto preliminare, al potenziale affiliato venissero fornite una serie di informazioni e chiarimenti circa l’attività di franchisee. Ciò in quanto il fine promozionale si realizza esclusivamente attraverso il messaggio pubblicitario, che esaurisce la propria funzione nell’indurre il destinatario a rivolgersi al professionista, per cui non può essere ritenuto idoneo a sanare l’incompletezza delle informazioni su elementi rilevanti dell’attività pubblicizzata il rinvio ad ulteriori, eventuali e non controllabili fonti informative.
Inoltre secondo l’AGCM l’ingannevolezza dei messaggi la circostanza non era sanata dal fatto che i soggetti che avevano concluso il contratto di franchising erano imprenditori. Infatti, gli aspiranti affiliati destinatari delle comunicazioni commerciali sono per lo più imprenditori di piccole dimensioni, ditte individuali prevalentemente a gestione familiare, che necessitano di forme di tutela non dissimili da quelle riservate ai consumatori. D’altra parte, gli stessi messaggi pubblicitari oggetto di contestazione specificavano che, per aprire un centro Mail Boxes Etc. non era necessaria una precedente esperienza nel settore ed evidenziavano il sostenimento di piccoli investimenti iniziali e dimensioni ridottissime del personale e del punto vendita.
Da segnalare che in questo caso l’AGCM non ha accolto gli impegni proposti dal franchisor nel corso del procedimento, in quanto le misure da questi indicate non sono state ritenute in grado di far venir meno tutti i profili di illegittimità dei messaggi pubblicitari contestati, né di ripristinare il pregiudizio arrecato agli affiliati indotti in errore dall’ingannevolezza dei messaggi.
L’AGCM ha quindi sanzionato Mail Boxes con l’importo di Euro 80.000,00, tenuto conto della dimensione economica dell’operatore, della diffusione e della durata dei messaggi (circa 5 anni).
10.4 Il caso Ecostore (2014)
Nell’agosto 2012, alcuni affiliati ed ex affiliati della Ecostore presentano denunzia all’AGCM per pubblicità ingannevole, ai sensi del D.lgs. n. 145/2007, con riferimento ad alcuni messaggi diffusi tramite una brochure pubblicata nel sito internet e tramite alcuni siti e riviste di settore, su alcuni aspetti essenziali dell’affiliazione alla rete commerciale, attinenti al fatturato medio annuo realizzabile dai POS, alla dimensione della rete, alla formazione iniziale, alla pubblicità iniziale.
L’AGCM (provvedimento n. PS8234 del 30 giugno 2014) accerta che il franchisor aveva pubblicizzato:
- un fatturato medio annuo realizzabile dai POS (E. 260.000,00) quando invece tale risultato economico era del tutto incerto (essendo stato realizzato da un esiguo numero di POS negli ultimi anni) ed era in realtà subordinato all’installazione da parte dei franchisee di ulteriori espositori di prodotti Eco Store (corner), circostanza che era stata omessa nella pubblicità;
- che la propria rete fosse in crescita (20% annuo), quando invece il trend di crescita era negativo negli ultimi anni, essendo stati chiusi numerosi POS;
- che la formazione iniziale fosse gratuita, quando invece la stessa era in realtà a carico degli affiliati, essendo inclusa nella fee d’ingresso (E. 45.000,00);
- che la pubblicità iniziale fosse gratuita, quando invece la stessa era in realtà anch’essa a carico degli affiliati, essendo pari ad una percentuale dell’acquisto mensile dei prodotti Eco Store.
- che il prestito agevolato con Unicredit Banca per l’avviamento dell’attività non era certo ed automatico a seguito dell’affiliazione, ma era subordinato alla valutazione insindacabile della banca.
Anche in questo caso l’AGCM non ha ritenuto idoneo a sanare l’ingannevolezza della pubblicità il fatto l’affiliato potesse successivamente acquisire informazioni e chiarimenti ulteriori rispetto a quanto indicato nella brochure, dato che il fine promozionale si realizza attraverso il primo messaggio pubblicitario.
L’AGCM ha quindi ritenuto i messaggi pubblicitari di Ecostore ingannevoli – anche perché gli affiliati erano costituiti da imprenditori di piccole dimensioni, privi di esperienza nel settore e in quanto tali non dissimili ai consumatori – ed ha irrogato al franchisor una sanzione pecuniaria di Euro 150.000,00.
L’AGCM non ha invece accolto l’impegno di Eco Store a cessare la diffusione del messaggio e a modificarlo, data la scorrettezza e gravità della condotta.
10.5 Il caso DIF&CO (2014)
Nel luglio 2013, alcuni ex affiliati della DIF&CO presentano denunzia all’AGCM per pubblicità ingannevole, ai sensi del D.lgs. n. 145/2007, con riferimento ad alcuni messaggi diffusi tramite sito internet e mailing, su presunti guadagni realizzabili dagli affiliati.
Dopo accurata istruttoria, l’AGCM (provvedimento n. PB778 del 9 luglio 2014) accerta che il franchisor aveva pubblicizzato la possibilità per gli affiliati di realizzare guadagni certi (fino a 1.800,00 Euro al mese, ritorni economici costanti e continuativi, potenzialità di guadagno illimitate), quando invece tale risultato economico era del tutto incerto.
Infatti, la formula commerciale del franchisor, consistente nella cessione dei prodotti dagli affiliati ai dettaglianti in conto vendita, con incassi differiti, con l’obbligo degli affiliati di acquistare i prodotti dal franchisor, poteva non consentire agli affiliati alcun guadagno.
L’AGCM pertanto, dopo avere acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha ritenuto i messaggi pubblicitari di DIF&CO ingannevoli, ed ha irrogato al franchisor una sanzione pecuniaria di Euro 30.000,00.
Successivamente DIF&CO, noncurante del provvedimento dell’AGCM, ha reiterato i messaggi ingannevoli, continuando ad utilizzare nel proprio sito alcuni dei messaggi ritenuti ingannevoli dall’AGCM. L’Autorità ha quindi nuovamente sanzionato il franchisor con la pena di Euro 10.000 per inottemperanza alla precedente delibera.
10.6 Il caso Mirkoro (2015)
Alcuni consumatori e concorrenti denunziano all’AGCM l’ingannevolezza una serie di messaggi pubblicitari diffusi da Mirkoro in merito al prezzo al quale i centri Mirkoro acquistano dai consumatori prodotti in oro, prezzo che viene indicato in “49 € al grammo” o “fino a 49 € al grammo” .
In particolare, una consumatrice denunzia che la valutazione riconosciutale presso un negozio Mirkoro, di alcuni oggetti d’oro che la stessa intendeva cedere, sarebbe stata di 11 € al grammo. D’altra parte, alcuni concorrenti segnalano che il pubblicizzato prezzo di 49 euro al grammo per l’acquisto dell’oro da privati sarebbe nettamente superiore persino alla quotazione dell’oro puro (24 K) sui mercati internazionali, pari all’incirca a 30 euro al grammo.
L’AGCM (provvedimento n. 2498/2015) nel corso del procedimento attribuiva al franchisor l’onere di provare con documentazione contrattuale l’esattezza delle affermazioni pubblicitarie. L’AGCM riteneva tuttavia che la documentazione fornita dal franchisor non fosse idonea a dimostrare la veridicità delle affermazioni pubblicitarie.
In particolare, i documenti di vendita forniti, che riportavano un importo al grammo superiore, pari o di poco inferiore a 49 euro al grammo, facevano riferimento ad oggetti in oro con pietre preziose e/o di particolari marche e dunque ad una casistica ben specifica di oggetti. Inoltre non era stato fornito alcun elemento atto a comprovare l’affermazione pubblicitaria secondo cui i prezzi di acquisto dell’oro usato praticati presso i negozi Mirkoro sono i più alti in Italia.
L’AGCM ha quindi ritenuto i messaggi pubblicitari diffusi da Mirko Oro ingannevoli, in quanto idonei a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio, e ha irrogato al franchisor una sanzione pecuniaria di Euro 50.000,00, tenuto conto della diffusione della pratica, realizzata attraverso vari mezzi di comunicazione, e della dimensione economica del franchisor.
11. Indicazioni per una pubblicità senza rischi legali nel franchising
Come abbiamo visto, un provvedimento sanzionatorio dell’AGCM per pubblicità ingannevole espone il franchisor a molteplici rischi: sanzioni pecuniarie, danni all’immagine della rete e alla reputazione del brand, possibili azioni di risarcimento del danno da parte di affiliati, ex affiliati, competitors.
Come evitare questi rischi? Ecco di seguito alcuni sintetici ma utili suggerimenti per i franchisors.
Primo: è opportuno ideare e realizzare campagne pubblicitarie il più possibile conformi alla normativa sulla pubblicità, e quindi veritiere, chiare e complete; in particolare, non è opportuno enfatizzare esperienza, successo commerciale, posizione rispetto ai concorrenti, profitti realizzabili, servizi sul mercato privi di effettivo riscontro nella realtà.
Secondo: è opportuno fornire dati o previsioni di fatturato e utili basati su risultanze certe, oggettive, veritiere e dimostrabili a posteriori. Nel dubbio, è preferibile fornire dati conservativi e prudenziali piuttosto che troppo ottimistici.
Terzo: occorre evidenziare chiaramente, con appositi warnings, che si tratta di mere previsioni e non di dati certi e vincolanti, dato che la redditività dell’attività commerciale dipende da una serie di variabili indipendenti dal franchisor, tali da alterarne sensibilmente i risultati attesi (zone di mercato, andamento generale del mercato, attività della concorrenza, capacità dell’affiliato).
Quarto: è opportuno prestare molta attenzione alla redazione e diffusione di un messaggio pubblicitario, e rivolgersi, possibilmente prima che il messaggio venga divulgato, a un legale esperto in materia.
Quinto: se si riceve una denunzia (da affiliati, concorrenti, consumatori) o una comunicazione dall’AGCM circa la potenziale ingannevolezza di un messaggio pubblicitario, occorre avvertire immediatamente il legale di fiducia e interrompere immediatamente la diffusione dello stesso, operando se del caso prima possibile le opportune modifiche, rettifiche o integrazioni.
Sesto: è opportuno fornire la più ampia collaborazione con l’AGCM, in piena trasparenza, essere disponibili ad assumere impegni nei confronti dell’AGCM, ove opportuno e dietro consiglio del legale di fiducia, dare sempre puntuale e rigorosa attuazione alle decisioni dell’AGCM, e non reiterare il messaggio giudicato ingannevole.
Avv. Valerio Pandolfini
Avvocato Consulenza legale Franchisor
Abbiamo una vasta esperienza nella consulenza e assistenza legale nel franchising.
Abbiamo assistito numerose reti in franchising, per la consulenza in materia di pubblicità.
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